martedì 23 dicembre 2014

Calendario dell'Avvento: 15-23 Dicembre

 


LA FRETTA DELL'ASINELLO 

Conoscete gli Asini? Sono capricciosi. Robusti e resistenti, si possono caricare con pesanti fardelli. Ma talvolta, s'intestardiscono e quando ciò succede diventano sordi a tutto, sia alle suppliche come alle ingiurie. Se tenti, malgrado tutto, di farli avanzare: irrigidiscono le zampe e non si muovono d'un passo. Puoi provare a tirarli o spingerli: niente da fare! Allora disperi ed ecco che diventano improvvisamente adorabili, fedeli e devoti. Tutta la testardaggine è scomparsa, come per incanto.
L'Asinello di Maria e Giuseppe era simile agli altri asini: testardo, capriccioso e adorabile. Il viaggio per Betlemme avrebbe potuto essere lungo e difficile con un simile animale, se non fosse diventato, improvvisamente, una bestia estremamente dolce  e docile. Ed ecco come questo avvenne.
Giuseppe aveva caricato l'Asinello. Aveva portato con sé gli effetti di cui avrebbero avuto bisogno durante il viaggio. L'Asinello era rimasto bravo e tranquillo, pareva essere il più dolce, il più gentile degli asini di Nazareth. Ma quando Giuseppe prese le briglie in mano, perché era tempo di andare, l'Asinello s'inarcò sulle zampe e rifiutò di fare un passo. Giuseppe lo accarezzò, poi lo ingiuriò: invano. L'Asinello non faceva il minimo movimento.
Maria tentò a sua volta, "Vieni, gli diceva, andiamo, vieni, è ora di partire, il cammino è lungo." Ma aveva un bel darsi da fare, l'Asinello restava impassibile. Allora, quando la situazione sembrava disperata, intervenne l'Angelo Gabriele. Senza farsi notare, si avvicinò all'Asinello e gli disse: "Il viaggio fino a Betlemme sarà faticoso. Il tragitto sarà lungo per le tue piccole zampe, è meglio che resti a casa ed hai avuto ragione di impuntarti e non camminare. Vado a chiamare degli Angeli che avranno piacere di portare il fardello di Maria e Giuseppe al posto tuo."
Poi aggiunge: "Che peccato, però, che non sarai vicino al Bambino quando nascerà! Tu non sentirai cantare gli Angeli ! Non assaggerai il fieno della mangiatoia, il buon fieno che servirà da lettino per il piccolo Gesù!". Il canto degli Angeli? Il buon fieno? Bisognava essere stupidi per restare! Testardo, per quanto sia, un Asino è un Asino. Ma stupido, no! le promesse erano allettanti!
L'Asinello raddrizzò le orecchie: forse che gli Angeli cantavano di già? Tese le sue narici al vento: si, gli sembrava di sentire l'odore del fieno, e partì al trotto, in testa al gruppo. Tutta la sua cocciutaggine era dimenticata. Ora aveva fretta di arrivare a Betlemme. La sera, avrebbe preferito non fare mai soste. Al mattino, persino prima che si levasse il Sole, era sempre lui il primo a risvegliarsi.
Diceva: "Hi-ho! Hi-Ho! E voleva dire: "Alzatevi, è ora di partire per Betlemme, andiamo ad ascoltare gli Angeli e a gustare del buon fieno." Eh si! gli asini sono capaci di tante cose, quando ascoltano ciò che dicono gli Angeli.

LA RAGNATELA 

Una sera, Maria e Giuseppe avevano trovato rifugio in una caverna per passare la notte, ma quando vi entrarono, un grosso Ragno passò davanti a loro.  Giuseppe provò a cacciarlo via con il suo bastone, ma Maria gli disse tranquillamente: "Lascia questa bestiola in pace, Giuseppe, quel che Dio crea, non deve intimorirci.  D'altra parte, la caverna è abbastanza grande per tutti noi." Poco dopo, si misero a dormire.
Quella notte, il vento soffiò con violenza e spolverava le stelle, il cielo, infatti, doveva essere rilucente per la nascita del Bambino Gesù. A Natale, gli astri dovevano scintillare come Oro puro, perciò il vento soffiava con tutte le sue forze.
Nella caverna, Maria era intirizzita dal freddo e non riusciva ad addormentarsi. Si era avvoltolata alla meglio nel suo mantello trapuntato di Stelle, ma il vento s’infiltrava dappertutto. Giuseppe, steso al suo fianco, dormiva tanto  profondamente che non si accorse di nulla. Ma qualcuno si accorse di quel che stava accadendo: il Ragno.
Quella bestiola era rimasta assai bene impressionato da Maria, perché aveva pronunciato delle parole tanto benevole nei suoi confronti. Allora si mise all'opera e tessé una tela  meravigliosa all'entrata della caverna. Voi penserete, senza dubbio, che una Ragnatela non trattiene il vento, ma questa era una ragnatela speciale e faceva l'effetto di una grossa tenda.  Era così fine e così solida che il vento non riuscì più ad entrare nella caverna. Maria ben presto si addormentò.
 Al suo risveglio, si accorse della ragnatela. "E' grazie a te che ho potuto dormire, disse al Ragno. sei molto buono, ti ringrazio e ti sono grata". Il Ragno, nascosto in una fenditura della roccia, era al colmo della sua gioia.

LA PICCOLA CODA BIANCA DELLA LEPRE 

Durante tutta l'Estate, la Lepre aveva folleggiato nei prati. Aveva fatto ruzzoloni e capriole a suo piacimento. Quando venne l'Inverno, e la Neve aveva ricoperto i prati mentre la luce del Sole aveva cominciato a declinare, la Lepre si era ritirata nella sua tana. Era un rifugio gradevole, imbottito di erbe e foglie secche. La Lepre si era coricata; il muso fra le zampe, e sonnecchiava, attendendo il ritorno della Primavera.
Di tanto in tanto, la fame la obbligava ad abbandonare il suo soffice rifugio per mangiare, ma dopo aver mangiato si affrettava a ritornarvi. Un giorno, la Lepre sognò che un Angelo entrava nella sua tana e le tirava leggermente un orecchio per svegliarla e le diceva qualcosa.
La Lepre si svegliò e si guardò intorno. Non vide più l'Angelo. Ma si ricordava chiaramente delle parole che aveva udito in sogno: "Vi sono delle brave persone che si sono smarrite  nella Neve, va, corri in loro soccorso. Il tuo odorato fine ti guiderà senza dubbio". In effetti, la Lepre vide tre figure non lontano da lei: un uomo, una donna ed un Asinello.
L'uomo scrutava l'immensa distesa bianca. Cercava invano il cammino. La Lepre fiutò subito un odore di fumo. Doveva provenire da qualche casa  nascosta in un avvallamento. In quattro salti, si portò accanto a Maria e Giuseppe. Si rizzò sulle zampette posteriori, facendo do la vezzosa. Poi partì in direzione  del villaggio.
Dopo alcuni salti, ritornò indietro. L'uomo e la donna non si erano spostati di un millimetro! Osservavano la Lepre con stupore. La Lepre si riavvicinò. Per la seconda volta, fece le moine, poi delle capriole che tracciarono una sorta di sentiero nella Neve. Maria e Giuseppe compresero allora quello che intendeva e la seguirono. La lepre saltellava in testa al gruppo e, ben presto, furono in vista del villaggio.
Allora la Lepre si fermò ed agitò gioiosamente le sue lunghe orecchie. E fu felice quando Giuseppe le disse un grosso grazie. Ma lo fu ancor di più quando Maria si chinò su di lei e l'accarezzò con dolcezza, poi asciugò con cura la neve sulla sua pelliccia. Ne restò soltanto un poco sulla punta della coda. La Lepre, riguadagnò la sua tana, con il cuore in festa. Soltanto la sua piccola coda era ancora bianca di Neve.
Quando venne la Primavera e la Neve si sciolse, la coda della Lepre era sempre bianca! E lo è ancora oggi. E’ in ricordo di questo giorno d'Inverno in cui la Lepre ha guidato Maria e Giuseppe in mezzo alla Neve.

LE PROVVISTE DELLO SCOIATTOLO 

Lo Scoiattolo, durante l’Autunno, si era procurato un'abbondante scorta di Noci. Le aveva sotterrate qua e là e le aveva ricoperte con cura di rami, terra e foglie. Era importante che le sue scorte fossero in luogo sicuro, protette e ben nascoste. Ma ecco: lo Scoiattolo non era in grado egli stesso di ritrovare i suoi nascondigli Quale seccatura! Durante l'Estate, la natura gli aveva offerto una tavola riccamente imbandita; adesso, era nuda, spogliata dall'Inverno.
Lo Scoiattolo non trovava altro che degli avanzi miseri. E malgrado le sue. ricche provviste, soffriva la fame. Era molto preoccupato. Aveva soltanto una cosa da fare, una cosa che non amava per niente: doveva avventurarsi verso le dimore degli uomini, in cerca di cibo.
Fu così che un giorno lo Scoiattolo fu testimone di una triste scena. Della povera gente aveva bussato alla porta di un'abitazione per chiedere l'elemosina. La padrona di casa venne ad aprire, li ingiuriò con male parole e li cacciò con grandi urli. Lo Scoiattolo scorse i loro visi tristi e ne fu infelice.
Con tutto il suo cuoricino, desiderò di aiutarli. Se soltanto avesse potuto ritrovare le sue provviste! Riparti saltellando alla volta della foresta e si mise a cercare ancora una volta. Non che gli fosse ritornata la memoria. Ma là, ove erano nascoste le Noci, gli sembrava di vedere delle piccole luci.
Lo Scoiattolo vi andò a raspare e a scavare e ritrovò la sua scorta. Riempì le sue guance di noci e corse appresso ai viandanti. Per quanto un po' timoroso, la sua timidezza si sciolse sotto i dolci sguardi di Maria e di Giuseppe. Lesto, saltò vicino a loro e depose sul sentiero due noci per ciascuno.  Voi direte certamente: due noci, è ben poco per uno stomaco vuoto! Ma tutto ciò che è donato con Amore è sempre più di quanto non sembri.
Maria e Giuseppe ringraziarono il piccolo Scoiattolo. Mangiarono le Noci e la loro fame fu saziata. Dopo questo giorno, lo Scoiattolo ebbe la vita più facile. Quando si metteva a cercare le sue provviste nascoste, il terreno s’illuminava dolcemente qua e là e non dovette mai più scavare invano.

IL CANE DEL PASTORE 

Maria e Giuseppe camminavano verso Betlemme e cercavano una locanda ove passare la notte. Anche quella sera, non trovarono nulla e pensarono di dormire ancora una volta sotto le Stelle. Giuseppe scorse, allora, nell'ombra del crepuscolo, una casetta non illuminata. Maria e Giuseppe vi si avvicinarono pieni di speranza: era un ovile.
Ma avevano fatto i conti senza Finaud, ovvero il cane del pastore. Durante il giorno, custodiva il gregge di pecore nei prati. Di notte, cacciava i razziatori ed i ladri che si avvicinavano alla stalla. Non appena fiutò Maria e Giuseppe, Finaud si levò d'un balzo e scosse violentemente la catena a cui era attaccato. Saltava in direzione degli intrusi e abbaiava con voce minacciosa. I suoi "ouah-ouah, significavano, state attenti, qui sono io il padrone. State alla larga!"
Sentendo quei latrati furiosi, Giuseppe alzò le spalle e fece dietro front, dicendo a Maria: "Non c'è speranza! Questo guardiano è senza dubbio più intrattabile di un uomo dal cuore duro." Anche Maria si era bloccata. Finaud era contento di sé, perché era capace di teneva a distanza i forestieri.
Allora Maria insistette e disse: "Giuseppe, proviamo comunque; le notti sono fredde adesso. Senza un tetto non riusciremo ad addormentarci." Detto fatto, si diresse verso la stalla con passo tranquillo. Finaud fu preso da rabbia furiosa. Latrava e tirava furiosamente la catena in direzione di Maria, quando, all'improvviso, avvenne una cosa inattesa.
Prima che Giuseppe avesse il tempo di intervenire, Maria era giunta a portata del cane. E cosa stava facendo Finaud? Osservava Maria che avanzava verso di lui e scodinzolava gioiosamente la coda. Quando Maria gli fu del tutto vicina, Finaud fece qualche piccolo salto verso di lei, come un capretto; poi si stese pancia all'aria. Maria si abbassò verso di lui e gli accarezzò il ventre. Quando Giuseppe si avvicinò, Finaud brontolò un'ultima volta, ma la dolce mano della Madre di Dio lo calmò subito.
Maria disse a Giuseppe: "Guarda come ha strattonato la catena, questo birbante! Il suo collo è tutto straziato." Maria sfiorò le piaghe con le sua dita. Il cane non trasalì nemmeno a questo contatto. Finaud sarebbe rimasto tutta la notte ai piedi di Maria, se avesse potuto. Ma il suo posto non era nella stalla, lo sapeva bene.
Si stese, fuori, tutto contro la porta. Il suo cuore batteva di gioia; che grande responsabilità aveva! Non andava a proteggere, questa notte, la madre di Dio? Il mattino presto, il pastore venne a prendersi cura delle pecore. Da lontano, fu testimone di una scena sorprendente. La porta della stalla si aprì, ne uscirono un uomo ed una donna, seguiti da un Asinello.
Finaud, il famoso cane da guardia, saltava loro incontro, scodinzolando e leccando le mani della donna. All'interno della stalla, le pecore belavano, cosa che facevano soltanto all'avvicinarsi di persone che conoscevano bene e che amavano.
Il pastore osservo la scena come in un sogno. Si riprese soltanto quando Maria e Giuseppe furono scomparsi. Il pastore si rivolse al suo cane: "Allora, Finaud, chi erano i tuoi ospiti?" Se soltanto avesse saputo comprendere il linguaggio dei cani! Finaud gli avrebbe certamente rivelato chi aveva passato la notte nella stalla. Quando il pastore si chinò verso il cane, vide le ferite sul suo collo che erano state guarite durante la notte. E rimase ancora più stupito. 





IL VELLO DELL'AGNELLO 
Fiocco-Bianco era l'Agnello più grazioso del gregge. La sua lana era effettivamente la più bianca e la più luminosa. Ma era tutto quello che lo distingueva dalle altre pecore con le quali andava di buon grado a pascolare tutte le mattine. E la sera, rientrava docilmente all'ovile. Venne il tempo della tosatura. Fiocco-Bianco fu tutt'a un tratto irriconoscibile. Mentre le altre pecore si lasciavano tosare, Fiocco-Bianco fuggiva già al solo tendere la mano verso il suo vello.   Si aveva un bel fare, non voleva donare la sua lana.
Alla fine, il pastore ne ebbe abbastanza di corrergli appresso: "Dal momento che Fiocco-Bianco non si lascia prendere, che conservi pure il suo mantello invernale! Si vedrà come riuscirà a sopportare la calura estiva ...". Le pecore tosate pascolavano nei prati e la loro lana fu venduta al mercato in grosse balle.
Fiocco-Bianco andava in giro orgoglioso con tutta la sua calda pelliccia, ma arrivò l'estate ed il calore era spesso soffocante. L'agnello cercava sempre il fresco del fogliame ed il pastore si rendeva perfettamente conto che Fiocco-Bianco soffriva. L'avrebbe volentieri liberato dal suo pesante mantello di lana. Ma appena Fiocco-Bianco si accorgeva delle forbici fuggiva lontano. Perché voleva, dunque, conservare la sua bella lana bianca?
Venne l'Inverno, e con esso la notte in cui Maria e Giuseppe si erano rifugiati proprio nell'Ovile di Fiocco_Bianco per passarvi la notte. L'indomani, Fiocco-Bianco andò verso il pastore e cercò in tutti i modi di fargli capire che desiderava essere tosato in quel momento.
"Non è il momento, disse il pastore, mantieni il tuo spesso vello per proteggerti dal freddo."
Tuttavia, Fiocco-Bianco non smetteva di chiedere, ma il pastore continuava a fare il sordo! Il piccolo agnello diventò, allora, tutto triste. Rifiutava il cibo e nessuno poteva indurlo a mangiare. Il pastore sospirò: "Bisogna dunque che io faccia ciò che vuoi." Prese le forbici e si mise a tosarlo.
Durante la tosatura Fiocco-Bianco rimase perfettamente tranquillo, docile come il più dolce degli agnelli.
Quando ebbe tagliato l'ultimo ricciolo di lana, il pastore andò a cercare un abito vecchio. Ne rivestì l'agnello perché non soffrisse troppo il freddo. Poi fece una balla con la bella lana e la conservò preziosamente. Voleva venderla al prossimo mercato.
Ma quando, dopo diversi mesi, giunse il giorno del mercato la lana non c'era più. Il giorno di Natale il pastore si era recato a Betlemme, nella stalla, e aveva fatto dono della lana al Bambino Gesù.
Aveva compreso a chi Fiocco-Bianco aveva riservato il suo bel e candido mantello.

I TOPI DI NATALE 

C'era a Betlemme una stalla molto vecchia ed in rovina in cui alloggiava il bue Remo. Del fieno e della paglia erano sparpagliati per terra. In un angolo c'era una mangiatoia: la mangiatoia di Remo. Ed è proprio in questa stalla che doveva nascere il bambino Gesù.
Prima del grande giorno, l'Angelo Gabriele venne a vedere in che stato era il luogo. Quale disordine! Fu scioccato ed esclamò indignato: "Il figlio di Dio non può venire al mondo in questo tugurio! Remo, muoviti: bisogna che l'ambiente sia pulito e in ordine".  Il bue contemplava l'Angelo con i suoi grandi occhi tondi e continuava a mangiare tranquillamente.
La stalla era sempre stata com’era; perché, adesso, bisognava cambiare tutto? Se voleva più ordine doveva pensarci lo stesso Angelo Gabriele. Ma le mani degli Angeli sono intessute di luce e non possono prendere nulla. A chi domandare aiuto?
Ci fu improvvisamente, un leggero sibilo. L'Angelo si guardò intorno: in un angolo della stalla, scorse un topolino che usciva dalla sua tana. Aveva visto l'Angelo e chiamava i suoi piccoli: "Presto, venite a vedere l'apparizione celeste!" Gabriele si rivolse allora ai topolini e chiese loro: "Volete aiutarmi? Guardate che disordine in questa stalla! Bisogna che a Natale tutto sia in ordine per la nascita del bambino Gesù."
I topolini non si fecero pregare. Uscirono lesti dalla loro tana. Ognuno afferrò un filo di paglia che portò via per tornare presto a riprenderne un altro. E in brevissimo tempo la vecchia stalla fu ripulita. Il bue stesso dovette riconoscere che non si era mai sentito così bene ed a suo agio.
L'Angelo Gabriele lodò i topolini e disse loro: "Poiché avete lavorato tanto bene, d’ora in avanti vi si chiamerà: i topolini di Natale.  Quando il bambino Gesù verrà al mondo, voi sarete tra i primi a poterlo contemplare". Da allora i topolini, felici, attesero il Natale con impazienza.




UNA MANCIATA DI PAGLIA 

Una sera, Maria e Giuseppe bussarono ad una porta di una fattoria perché cercavano asilo per la notte. Il contadino che aprì l'uscio era un uomo burbero. Aveva il cuore duro e non faceva volentieri dei servizi. Al primo colpo d'occhio aveva compreso di avere a che fare con della povera gente. "Non hanno certamente di che pagare", si era detto.
Indicò allora un angolo del cortile e grugnì, con tono poco accogliente "L'unica possibilità è di sdraiarvi laggiù per terra, restando lì sarete sotto la protezione del tetto".  Maria domandò gentilmente: "Non avreste una manciata di paglia per coprire il terreno gelato?". Il contadino la guardò piuttosto arrabbiato e disse: "Sta bene, ne avrete una manciata, ma non un solo filo di più".
Si recò lui stesso al fienile ed estrasse da un grosso mucchio di paglia un mazzetto di spighe che diede a Giuseppe, quindi rientrò in casa sbattendo la porta.
Giuseppe guardava le spighe; era triste. Erano così poche che non sapeva cosa farne.  Maria gliele tolse di mano con dolcezza; le sparpagliò sul terreno e lo strato fu sufficiente per fare in modo che Maria e Giuseppe si potessero sdraiare. Ne restò persino per farci la lettiera dell'asinello, e tutti e tre si addormentarono subito.
L'indomani, Maria e Giuseppe passarono dal loro ospite poco cortese per ringraziarlo, poi proseguirono il loro cammino ed il contadino li salutò brontolando. Quando, più tardi, uscì nella corte, il suo sguardo cadde sui fili di paglia rimasti per terra: uno qui, uno là, una manciata in tutto e per tutto.
Come, i forestieri non avevano rimesso a posto la paglia? Il contadino stava per arrabbiarsi, quando si accorse che la paglia riluceva stranamente. Andò a vedere più da vicino: ogni stelo era d'oro fino! Li alzò, li soppesò, poi si batté la fronte: "Che sciocco!, esclamò,  se avessi offerto a quelle persone di dormire nel fienile a quest'ora tutta la paglia sarebbe diventata d’oro.
Ma quel che era stato fatto, era fatto. Il contadino dal cuore duro pensò allora di vendere questi steli d'oro; li avvolse in un tela ed andò in città.  "Sono pochi, si diceva, ma alzerò il prezzo". Dopo aver cercato e discusso con parecchie persone, trovò un orafo che gli propose una buona somma.
Il contadino si sfregò le mani: che profitto andava ad avere per il magro servizio che aveva reso!
Ma quando tolse il tela sotto gli occhi dell'orafo, cosa vi trovò? Una manciata di paglia! Fece una faccia strana e l’orafo rise di buon cuore prendendolo in giro.  E così il contadino riportò a casa soltanto la brutta figura che gli durò molto più a lungo del dono della Santa Famiglia che lui aveva voluto vendere.

LA MINESTRA DELLA MENDICANTE 

Nessuno, nel villaggio, era più povero di Rebecca. Possedeva soltanto i vestiti che aveva indosso. Ed erano poca cosa.  La gonna e la camicetta erano lacere; le calze e le scarpe bucate. Tutti gli abitanti del villaggio conoscevano Rebecca e lei conosceva ognuno di loro. Rebecca aveva l'abitudine di dormire all'aperto. Quando aveva fame, sapeva a che porta bussare, ma sapeva pure trovare un rifugio quando giungevano i rigori invernali.
Che vita miserabile! Tuttavia, Rebecca conduceva questa vita da numerosi anni e non provava né invidia, né bisogno di cambiarla.  Ad un contadino che, un giorno, si era impietosito per la sua sorte, aveva risposto: "Anche il vostro destino vi serba qualche problema, che io,  in ogni caso, non conosco!"
Il contadino la guardò, molto sorpreso, e lei continuò: "Ogni giorno ho chiesto l'elemosina a voi tutti, ma a me nessuno ha ma chiesto niente". Poi si mise sotto il braccio la pagnotta di pane che il contadino le aveva dato e se ne andò con un sorriso malizioso.
Poco tempo dopo questo aneddoto, giunse l'inverno. Una grande carestia regnava sul paese. La gente aveva a malapena di che nutrirsi. Quando arrivava Rebecca, la sua presenza aveva l'effetto di una doccia fredda e le davano malvolentieri qualche avanzo di cibo. Alla poverina toccava di dover bussare a diverse porte per poter saziare la sua fame.
Un giorno, ricevette una mezza scodella di minestra calda. Che fortuna insperata!  Si era seduta ai bordi della strada per mangiarsela tranquillamente quando scorse dei viandanti che venivano verso di lei: un uomo, una donna ed un asinello. Avrete indovinato: erano Maria e Giuseppe che andavano a Betlemme. Come era triste il volto dell'uomo! E quanto pallido e incavato il volto della sua giovane moglie!
Rebecca ebbe pietà, interrogò Maria e Giuseppe: "Ehi! Brava gente, perché siete così tristi? Che cosa c’è che non va?". Giuseppe guardò Rebecca senza parlare continuando a guardare la scodella di minestra calda. Maria rispose con dolcezza: "Siamo molto stanchi, la marcia è ancor più faticosa quando lo stomaco è vuoto".
"Perché, allora, non avete acquistate del cibo?", s’informò la mendicante. "Perché non abbiamo denaro", rispose Maria.  "E perché non chiedete l’elemosina?", volle ancora sapere Rebecca. Maria ammise, confusa: "Abbiamo provato, ma nessuno ci ha dato niente."  La mendicante approvò con il capo: "Eh, si! i tempi sono duri, la gente ne ha appena per se stessa. Vedete quanta poca zuppa ho ricevuto". E mostrò loro la scodella piena solo a metà.
All'improvviso, Rebecca fu attraversata da un pensiero che ancora non era le mai venuto: "Ditemi, chiese dolcemente, avete un recipiente con voi?".  Per fortuna Maria e Giuseppe ne avevano portato uno con loro. La mendicante disse allora con voce risoluta: "Bene, accomodatevi, condividiamo la mia minestra e la vostra stanchezza."
Giuseppe tese il suo recipiente. Rebecca vi versò quel tanto di cui pensava potesse farne a meno. Poi, nel suo slancio di generosità, ne versò dell'altra ancora.  Teneva la sua scodella in modo tale per fare in modo che né Maria né Giuseppe si accorgessero che era vuota.  Osservando i forestieri mangiare la sua minestra, la mendicante provò una gioia che non aveva mai provato fino a quel momento.
Per un istante, dimenticò la sua fame. In pochi minuti, Maria e Giuseppe mangiarono la minestra e si rimisero subito in. cammino.  Rebecca li segui a lungo con gli occhi. Per la prima volta aveva dato qualcosa a qualcuno, essi le avevano rivelato questo aspetto del destino umano che lei non conosceva. A lei, la mendicante Rebecca, era stata chiesta l'elemosina, per la prima volta nella sua vita!
Alla fine si chinò per prendere la sua scodella: era piena fino all'orlo!  Colma di una buona minestra, calda come meglio non si poteva desiderare; una minestra che placò abbondantemente il suo appetito.



I PASTORI ACCANTO AL FUOCO 
Nei campi, non lontano da Betlemme, dei pastori erano seduti intorno a un fuoco, perché in Inverno le notti sono fredde.  Il gregge riposava tranquillo formando un grande cerchio intorno a loro. Soltanto i cani erano in movimento e si spostavano senza posa da una parte all’altra, come dei bravi guardiani. Samuele, il più giovane dei pastori, sospirò: "Come sarebbe bello, poter stare tranquilli senza la minaccia dei lupi". Giacobbe scosse la testa, irritato: "A che ti serve sognare?, replicò, finché ci saranno pecore, ci saranno lupi che vogliono prenderle".
Allora il vecchio Elia sollevò la testa canuta, fissò i compagni con i suoi occhi chiari e disse con tono misterioso: "Chi lo sa? E' scritto che verrà un giorno in cui lupi ed agnelli pascoleranno tranquillamente insieme."
"Quando verrà questo giorno?", chiese subito Samuele.
 Il vecchio scosse la testa con circospezione: "La Scrittura dice che un giorno verrà il figlio di Dio fra gli uomini.  Allora non ci sarà più odio sulla terra e la pace regnerà tra gli uomini e tra gli animali. Quanto alla data in cui ciò accadrà, nessuno la conosce."
I pastori fissavano il fuoco pensosamente.  Tutt'a un tratto udirono qualcuno cantare e questo canto era così dolce che commosse il loro cuore. Si voltarono in direzione della voce: sulla strada che portava alla città, scorsero un uomo anziano e una giovane donna. La donna era avvolta in un mantello blu col cappuccio e con loto trotterellava un asinello.
La donna cantava; cantava per il bambino che portava in grembo ed una pace serena conquistò l'anima di coloro che l'ascoltarono. I pastori seguirono con lo sguardo la donna finché non scomparve alla loro vista.  Poi, ritornarono verso il fuoco e notarono che anche le pecore avevano le loro teste rivolte verso Betlemme.
I cani avevano sospeso il loro andare e venire e si mantenevano tranquilli, con le orecchie tese.
All'improvviso, Samuele indicò qualche cosa con il dito. Mormorò: "Guardate laggiù! Non è uno dei nostri cani: è un lupo."  Gli altri pastori avevano seguito il suo gesto. Approvarono con la testa.
Era proprio un lupo, laggiù, vicino alle pecore; preso anche lui, come loro, dalla magia del canto guardava in direzione di Betlemme.
Il volto del vecchio Elia s'illuminò: "Non stavamo parlando di un miracolo che ci sembrava ancora lontano?  Adesso il giorno è  molto vicino. Il figlio di Dio sta per nascere.  Non ci si può sbagliare, i segni sono chiari; il lupo pascola tranquillamente accanto agli agnelli."
Samuele si voltò verso il vecchio: "Vuoi dire, vecchio mio, che la giovane che cantava così meravigliosamente  è la madre del Bambino Divino?" domandò.  "Precisamente, è quel che penso", approvo Elia. "Questa giovane donna deve essere la madre di Dio".  E in questo, il vecchio pastore aveva perfettamente ragione.

 IL VECCHIO GUARDIANO 

Simeone, il vecchio guardiano, stava seduto alla finestra. Osservava la neve cadere e pensava ai tempi andati.  Aveva ottantanni e ne aveva trascorsi più di sessanta a sorvegliare le porte di Betlemme. Le apriva al mattino con i primi raggi del Sole e le richiudeva alla sera con le ultime luci. Ne aveva vista di gente entrare e uscire dalla città!
Con il tempo, aveva imparato a distinguere le intenzioni di ognuno: buone o cattive. Adesso le forze lo abbandonavano e provava dolore a sollevare la grossa chiave. In quanto ai due battenti della porta, erano così pesanti che il vecchio Simeone non poteva più aprirli. Un giovane guardiano aveva preso il suo posto. Simeone era rima sto responsabile solo di una piccola porta ad Est della città.
In vita sua non l'aveva mai vista aperta, tuttavia era chiamata la "Porta Alta". Quando aveva esordito nella sua carriera di guardiano, il suo predecessore gli aveva affidato la chiave e gli aveva raccomandato di stare attento a non farla arrugginire. Poi aveva aggiunto: "Un giorno, bisognerà aprire la Porta Alta.  Quando verrà il momento, tu lo saprai certamente."
Durante tutto il tempo del suo servizio, Simeone aveva avuto cura della chiave. Sarebbe mai venuto il momento di aprire la Porta Alta?  Tutto preso da questi pensieri, il vecchio si alzò faticosamente dalla sedia. Andò verso l'armadio e tirò fuori la chiave.  Poi tornò a sedersi presso la finestra. Mentre osservava cadere la neve silenziosa, Simeone strofinava la chiave con un lembo della sua veste di lana.
Era una chiave di ferro, ma adesso riluceva come una chiave d'argento. Simeone ripensava alle parole del suo predecessore. "Un giorno, bisognerà aprire la Porta Alta. Quando il momento verrà, tu lo saprai."  Ogni volta che ci pensava, il vecchio si domandava se, inavvertitamente, non gli fosse sfuggita la grande occasione e se non avesse dormito al momento opportuno.
Tutto ad un tratto, gli sembrò che il cielo s’illuminasse a Est, come se, nel cielo, le nuvole nevose si aprissero in quella direzione.  La luce s’intensificò e assunse la forma di una porta alta tutta d'oro. E la porta si aprì, e un bambino piccolo venne avanti sulla soglia e guardò intorno a sé.  Poi, con la sua manina, fece un segno amichevole in direzione del vecchio guardiano.
Quindi, il bimbo iniziò a discendere verso la terra percorrendo una strada che non era visibile.  Continuava sempre a guardare Simeone che osservava la scena, stupefatto.  Tutt'a un tratto, il vecchio esclamò: "La Porta Alta! Il bambino si dirige verso la Porta Alta, mentre io me ne sto qui col naso per aria."
Si sollevò sulle sue vecchie gambe, più in. fretta che poté. Avvolto nella sua veste di lana, partì sotto la neve verso le mura ad Est della città.  Per la strada non incontrò anima viva, nulla di strano, faceva freddo e la gente se ne stava chiusa in casa.
Il vecchio non vedeva più in cielo la porta d'oro, ma, verso Est, distingueva sempre un bagliore luminoso.  Giunse infine alla Porta Alta ed introdusse la chiave, di cui si era preso tanta cura, nella serratura, quindi la girò facilmente.
La Porta Alta si aprì senza rumore. Il bambino stava sulla soglia.  Tese la sua piccola mano fiduciosa a Simeone: "Grazie di aver udito là chiamata e di avermi aperto la porta, gli disse, guarda, anch'io ho lasciato una porta aperta, è per te".  Il vecchio guardiano levò gli occhi al cielo e vide la porta d'oro, che era aperta, spalancata e si poteva arrivare alla porta mediante una strada luminosa.
Simeone, tutto raggiante di gioia, si diresse immediatamente verso la porta dei Cieli.  Il bambino lo seguì con lo sguardo finché non scomparve.  Dopo qualche giorno, tutti si domandarono dove fosse andato il vecchio guardiano. Si misero allora alla sua ricerca, ma nessuno lo trovò!
Ora, dei forestieri erano giunti in città: un uomo, una giovane donna ed un asinello, che il guardiano era certo di non aver visto passare.  Come erano entrati? Stupito, il giovane guardiano andò a controllare la Porta Alta: era spalancata e la chiave era rimasta nella serratura!  "Il vecchio Simeone deve aver perso la testa! Ha aperto la porta e se ne e andato" borbottò.
Richiuse la porta e portò via la chiave.  Non sospettò mai che Colui che doveva entrare attraverso la Porta Alta fosse già in città.




 IL PICCOLO SUONATORE DI FLAUTO 

Daniele rasentava le vie di Betlemme suonando il suo piccolo flauto. Che musica gioiosa! Coloro che l'ascoltavano avevano il cuore in festa. Eppure nessuno invidiava il destino di Daniele perché, fina dalla nascita, aveva un cuore era debole che non gli permetteva di correre e giocare come gli altri bambini.
Zoppicava un po' dalla gamba sinistra e, inoltre, era cieco; questa era la cosa più spiacevole.
Non aveva mai visto il Sole, il cielo e le meraviglie del mondo. Ciononostante, le melodie che suonava non avevano nulla di triste perché Daniele era un bambino gioioso e la sua gioia era contagiosa.
Un mattino d’Inverno, una densa nebbia avvolgeva la città. Guardando fuori dalle finestre gli abitanti scorgevano solo un velo grigio. I vicoli e tutti gli angoli conosciuti sembravano irreali, era una cosa che infastidiva tutti, ma non Daniele.
La nebbia non poteva trattenerlo in casa, anzi, proprio quel giorno, Daniele, aveva più che mai voglia di uscire.  In quel tempo non si festeggiava ancora il Natale, ma la gioia che egli provava era del tutto simile a quella che proviamo noi all'avvicinarsi della festa della Luce. Perciò afferrò il suo flauto, ed usci lasciandosi guidare dal suo udito assai fine.
Si diresse verso la porta della città, uscì, costeggiò il muro di cinta e andò a sedersi sulla sua pietra preferita. Seduto nella nebbia, suonava con il suo flauto: "Figlia di Sion, rallegrati!". Adesso, non era più il giovinetto cieco, era un'orchestra nuziale che suonava per il fidanzato regale e la sua giovane sposa.
Daniele suonava con tutto il suo cuore e non si accorse della nebbia aleggiava intorno a lui e che impediva alla gente di vedere distintamente.  Suonava ma perché suonava? Suonava per aiutare Maria e Giuseppe a trovare la strada per la Porta Alta!  Questo perché era necessario che si compisse la profezia in cui si diceva che sarebbero entrati in città proprio passando da quella porta.
Maria e Giuseppe, che si erano sperduti nella nebbia ed andavano in giro alla cieca, udirono all'improvviso udirono il canto "Figlia di Sion, rallegrati" suonato dal flauto. Maria e Giuseppe si arrestarono per ascoltare quel canto meraviglioso.
Poi si rimisero in cammino, dirigendosi nella direzione da cui proveniva la dolce musica. Ben presto Maria scorse nella nebbia la figura del giovinetto accovacciato su una pietra, con il flauto alle labbra: "Chi è questo inviato di Dio - si domandava - che sembra essere là per guidarci?".
Ascoltarono il piccolo musicista senza muoversi, senza interpellarlo. Quando ebbe terminato il suo canto, Daniele si volse verso di loro: "Chi siete? - domandò - cosa fate qui?"
"Noi siamo povera gente; ci puoi indicare la strada per Betlemme?", rispose Giuseppe.
"Voi, povera gente?" disse il ragazzo con aria stupita e, per un momento, li esaminò attentamente. Quindi gli disse: "Vi trovate sotto le mura di cinta. Seguendole arriverete davanti alla porta di ingresso".
Maria e Giuseppe, osservando bene, intravidero l'ombra della muraglia, ringraziarono il piccolo suonatore di flauto e proseguirono il cammino.  Ed è  così che arrivarono alla Porta Alta, che trovarono aperta, con la  chiave argentata nella serratura, e poterono entrare in città, mentre il suono del flauto si faceva sempre più lontano.
Daniele continuava a suonare, voleva esprimere la sua gioia perché aveva visto qualche cosa di meraviglioso. Si era sentito inondato di luce e, in questa luce, aveva scorto due persone che portavano con loro un bambino. Ed il piccolo bambino gli aveva detto "Vieni!" con un cenno della mano.
Oh! sì, Daniele sarebbe andato, ma sarebbe andato solo al momento opportuno. Per ora, doveva continuare a suonare, come se, mediante la sua musica,  dovesse dissipare la nebbia e la cecità degli uomini.


Tratto dal volume La luce nella lanterna.
di Georg Dreissig

Fior di Pesco Edizioni (distribuita da Editrice Antroposofica).

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